martedì 23 febbraio 2021

Hai mai sentito il profumo della terra di Sardegna?

Una delle caratteristiche che più apprezzo della mia terra, è l'odore.

E' un senso che l'essere umano in effetti trascura parecchio. E' questa la società della visio, ovvero del guardare (in tutti i sensi).

Ma anche del gusto, del mangiare. E non va neanche tanto male all'ascoltare, basti pensare a che tipo di industria è quella della Musica.

Ma nello sfondo rimane il senso dell'olfatto, così importante per tanti animali tra cui alcuni che conosciamo bene e a cui vogliamo un mondo di bene come il cane.

Negli esseri umani l'olfatto non è così prioritario e sviluppato come altri animali ma in effetti se pensiamo comunque a quanto grande sia il business dei profumi forse un attimo di riflessione dovremmo averla.

E che dire dell'orribile sensazione di quando si sento brutti odori? Che sia un angolo di città maleodorante per un canale, che sia semplicemente l'effluvio di persone che non hanno un buon rapporto con l'acqua della propria doccia, in quei momenti non si sta per niente bene o a proprio agio.

Tutto questo giro di parole per parlare di una caratteristica di questa terra meravigliosa che è la Sardegna. Ovvero il suo odore, i suoi profumi. Caratteristica che molti colgono, soprattutto quando è la prima volta che arrivano in questi paraggi.

Se arrivi in nave, mentre sei sul ponte puoi sentire l'odore dell'acqua salata e quando le coste si avvicinano, d'un colpo, quell'odore caratteristico di mare prende delle sfumature sempre più particolari.

L'aria sembra più aria, più pulita e più densa. Ma allo stesso tempo leggera. E si sentono i profumi di piante aromatiche, elicriso, mirto, cisto e talvolta ginepri, pini o olivi.

E poi il muschio. Il muschio che cresce nelle rocce granitiche o calcaree che si bagna ed invia per l'aere quel senso di campagna.

E poi vai per i boschi, e trovi il lentischio. O se è stagione il profumo dei mille fiori che crescono nell'isola del vento. I cardi, oppure semplicemente le margherite o anche rare forme di orchidea selvaggia che crescono solo in Sardegna.

Il profumo di questa terra, così pulita, così ancora protetta dall'incedere selvaggio di fabbriche e ciminiere o industrie chimiche è unico ed irripetibile. E' vero, ci sono deli angoli dell'isola che purtroppo, per la stupidità e scempiaggine di taluni, sono stati sacrificati in nome del dio "progresso" e della divinità "posto di lavoro". Per poi in realtà non avere neppure quelli.

Ma sogno, come ogni sardo, che anche quegli angoli si possano di nuovo salvare.

Quest'isola è sopravvissuta a cataclismi probabilmente più devastanti ed è ancora qui. A regalare il suo profumo inconfondibile e magico a chiunque ne voglia godere.

Saludos

lunedì 15 febbraio 2021

Le maschere della Sardegna. Perchè sono tanto simili a quelle di paesi così lontani?

Una delle caratteristiche più importanti ma anche affascinanti dell'isola di Sardegna è la profondità dei suoi aspetti culturali.

Per la verità questo è un tema dominante in tutta la penisola, territorio che da millenni viene battuto e ribattuto da etnie e popoli diversi fra loro. Ma in Sardegna, la cui storia sembra andare un pò più lentamente del resto d'Italia e d'Europa questa sensazione è più forte.

Così quando si oltrepassa la soglia di una chiesa, ci si immerge facilmente nei molteplici significati che quel luogo di culto ha avuto per le genti del posto, in una sovrapposizione culturale e religiose di sicuro impatto.

E' infatti quasi una consuetudine che laddove adesso c'è un simbolo di una certa cultura e/o religione (ad esempio una chiesa) un tempo ci fosse un tempio pagano e prima ancora chissà.

In questi giorni NON si festeggia il carnevale. La festa più pazza e orgiastica dell'anno non viene celebrata per ovvi motivi dovuti al perdurare della pandemia da covid19 e dei seguenti provvedimenti anti-contagio. Ma in questi giorni di carnevale fantasma, la nostra attenzione è caduta nuovamente sulle tematiche culturali dei vari carnevali sardi. Non solo quelli più conosciuti di Mamoiada o Ottana.

Caratteristica dominante della scenografia carnevalesca isolana sono le maschere. Non le maschere intense come i costumi di carnevale di moda (magari di importazione televisiva o hollywoodiana) ma le "maschere" in senso stretto.

Le maschere tipiche del carnevale sono oggetto di studio da decenni. Non è questo il luogo principale in cui approfondire l'argomento nè tantomeno sono io la persona più adatta a farlo. Il punto che magari osservo è lo stupore che mi accompagna (e come me chiunque altro, sardo o meno che sia) nell'osservare la selvaggia primordialità di queste maschere.

Se si osservano le tipiche maschere delle figure carnevalesche, si capisce che l'orologio della macchina del tempo vola veloce a millenni fa, forse anche decine di migliaia di anni fa. Quando l'uomo viveva talmente in simbiosi con gli animali e la natura da non scorgere in nessuno una distinzione fra uomo e animale. Distinzione che al giorno d'oggi sembra un abisso, di più, un intero universo.

E quanto questi tratti forti del viso ricordino le maschere di paesi lontani anni luce geograficamente ma ancora molto collegati a livello culturale, come l'africa o l'oceania.

Camminare in Sardegna ti porta a queste sorprese. Pensi di essere in una terra moderna e civile (e in effetti lo sei) ma di colpo, non appena ti distrai un attimo, ti ritrovi nella savana africana o nelle lande desolate di un deserto australiano.

Io non so perchè le maschere del carnevale sardo siano così simili ad altre maschere di popoli primitivi o di tradizioni vecchie di secoli di altre culture a noi sardi lontane. Non lo so. Nè, ora, mi permetto di avanzare alcuna ipotesi.

So solo che niente, niente, niente in questo mondo accade così, senza una ragione o una causa.

SALUDOS.

mercoledì 10 febbraio 2021

Io ho il sospetto che la storia della Sardegna sia stata più importante di quello che vogliono farci credere

Qualcuno prima o poi metterà l'attenzione che la Sardegna è un luogo dove non per pochi anni ma per centinaia e centinaia di anni ha visto le più importanti attività ed eventi della pre-storia. Non preistoria ma pre-storia ovvero tutti quegli avvenimenti che sono accaduti in un periodo storico lontano, precedente una sufficiente trascrizione scritta degli eventi.
Proprio la mancanza di grandi riferimenti scritti ha portato qualcuno (non sappiamo chi e nè perchè) ha dare enfasi a certi passaggi storici e trascurare altri punti.

Lo dico in modo semplice: è mia totale e ferma convinzione che la storia accaduta in quest'isola in un periodo che va dai 3000 anni AC fino ai tempi dell'invasione romana (circa un centinaio di anni prima della nascita di Cristo) sia stata molto, ma molto molto, molto più importante per l'intera civiltà occidentale (e anche mondiale) di quello che i lacunosi testi scolastici ci vogliono far credere.

Una altra mia convinzione è che quando un fatto viene alterato e non viene corretto in fretta, esso acquisisce credibilità solamente con il passare del tempo. Ovvero una bugia, se non smentita subito, diventa sempre più difficile da smontare man mano che passano gli anni.

Quindi se qualcuno altera dei fatti storici o ne omette degli altri, è difficile alzarsi una mattina qualche secolo dopo e cercare di riportare la verità alla luce. Perchè difficile? Perchè l'errore può essersi istituzionalizzato e essersi ormai diffuso e stratificato in molte discipline umanistiche. Rendendo di fatto veramente difficile sconfessare qualcosa. Anche avendo delle buone prove.

E la classica reazione di chi dice "E.... Adesso arriva (pinco pallino) e scopre che tutti gli altri avevano sbagliato"....
Concetto debole, molto debole. In realtà nella storia umana questo fatto succede molto, molto spesso. E funziona esattamente così: ovvero un presupposto dato per scontato alla maggioranza viene messo in dubbio da un pensatore e dopo di lui altri pochi pensatori che ne seguono o ne ricalcano in modo indipendente la strada.

Avremo modo di riparlare, anche da un punto di vista storico e archeologico, di questo vero o presunto ruolo della Sardegna e di quanto più e meno valida sia la posizione delle "istituzioni" culturali ufficiali che potremmo (in modo irriverente) definire un pò negazionista.

Ora non ci stiamo facendo prendere da voli pindarici e di fantasia su complottismi, paleo-astronautica (area di indagine scientifica che parte dal presupposto che civiltà tecnologicamente avanzate abbiano operato nell'antichità e interagito con l'umanità) e cose del genere.

Però la vita ci ha portato ad avere un approccio sereno e libero dinnanzi alle teorie e ipotesi. Perchè non c'è nè crimine nè peccato a provare a osservare le cose a un punto di diverso o mettere in discussione qualcosa. Perchè nessun fatto culturale o storico è sicuro al 100%, quindi sollevare delle perplessità è giusto e persino doveroso. Se si vuole un progresso di conoscenza.

Io ritengo che la Sardegna abbia avuto, in un periodo storico che va dai 4000-5000 anni prima di Cristo fino a metà del I millennio A.C. un ruolo non solo importante nel panorama storico del Mediterraneo ma addirittura centrale e fondamentale. Ritengo che questa terra fosse in collegamento prima che economico culturale e forse anche genetico con le vicende dei popoli del medio-oriente.
Penso che la Sardegna sia stata il primo punto di approdo di quell'onda lunga di progresso e crescita culturale e sociale che è partito alle zone dell'antica Mesopotamia e precisamente dalle prime culture umane (Sumeri e poi Assiri) per passare attraverso il medio-oriente, Egitto, Grecia e quindi Mediterraneo centrale.

Se si guarda con occhio nuovo ciò che è rimasto di questo lontanissimo ma non completamente scomparso passato nella nostra isola, è impossibile non porsi delle domande. Non è possibile che tutti questi indizi non abbiamo una chiave di lettura comune.

Vi lascio con un estratto di una conferenza di uno studioso di testi antichi, il signor Mauro Biglino, in cui in modo molto efficace ci parla della Sardegna legandola alla tradizione culturale che ci ha lasciato Platone in alcune sue opere principali. Da ascoltare con mente aperta.

Saludos. 


giovedì 4 febbraio 2021

Imparare le tradizioni dai nostri anziani.

Il tempo libero delle donne anziane in Sardegna

quadro di Maria Antonia Porru (www.pitturiamo.com)

La figura femminile nel mondo sardo è sempre stato di enorme importanza. 
Fin dagli albori la divinità non era maschile ma femminile e riconducibile all'idea della maternità e della Terra (appunto, madre Terra) che ci ospitava, ci dava nutrimento e possibilità di vivere.

Se proprio devo dire la mia, penso che la figura femminile sia stata di centrale importanza in tutte le culture. Perchè la componente femminile dell'umanità è il 50% non solo numerico ma anche spirituale e concettuale. Il mondo è diviso in 2 ed è filosoficamente assurdo e incongruente pensare che il bianco possa esistere senza il nero, il giorno senza la notte, l'unità senza la molteplicità e via dicendo. Semplicemente, in alcune cultura è rimasta maggiore traccia in altre meno.

Postando questo quadro che ritrae uno squarcio di vita quotidiana delle nostre "zie" ovvero delle donne anziane, mi sovviene un pensiero e anche una preoccupazione.

La cultura è scrivere, costruire, socializzare e tante altre cose. Ma in essa vi sono anche i mores (come dicevano i latini) ovvero i costumi, le abitudini, le consuetudini. Identità è riferirsi al retroterra culturale da cui si proviene. 

Perchè se non sai da dove vieni, non potrai mai essere libero di decidere chi essere e dove andare.

Così non possiamo ignorare che gran parte dell'identità sarda è basata anche sulle nostre tradizioni e tutto quell'insieme di conoscenza pratica, artigianale e quotidiana che i nostri vecchi portano con se e tramandano generazione dopo generazione.

In realtà questo è un problema che non si ferma all'isola di Ichnusa, alla nostra amata Sardegna ma che riguarda tutte le identità etniche di ogni parte del globo. Il progresso avanza e se non ci si prende maggiore cura di conservare il patrimonio culturale delle generazioni precedenti, le nuove generazioni saranno scollegate da quelle precedenti in un meltin pot (crogiuolo) di influssi culturali di decine di etnie e nazionalità.

Se prima, la mamma e la nonna trasferivano alla figlia la conoscenza delle faccende di casa, delle ricette e di quei piccoli trucchi che solo gli anziani conoscono, adesso questa trasmissione sempre interrompersi troppe volte.

Vuoi per l'impossibilità di continuare a vivere fianco a fianco il tempo che basta per trasferire conoscenza vuoi per una mancanza di volontà di apprendere questa conoscenza pratica da parte dei più giovani.

Prendiamo come esempio generale quello della tradizione culinaria, del cibo e le ricette classiche.
Io ho una madre anziana che sa cucinare piatti tipici sardi di una bontà spaventosa. Sono cresciuto mangiando questi piatti e parte della mia identità sarda risiede proprio in quei sapori, in quei colori, in quegli odori, nei rituali che li accompagnano e nel percorso storico che li ha portati ad esistenza.

I dolci secchi fatti sulla pasta di mandorle hanno un senso. Parlano di Sardegna, della sua storia, della sua geografia, dello sforzo degli uomini e donne sarde di arrangiarsi con quello che la campagna offriva.

Il minestrone, la zuppa gallurese, la seadas, i ravioli, latte e castagne, la cordula, la pecora in cappotto e potremmo continuare all'infinito.

La domanda è: questa conoscenza, questa capacità, questo know how verrà trasmesso? Verrà conservato? Sarà ancora patrimonio della nostra cultura?

O rischiamo di essere superficiali e disattenti e vedere queste abilità morire con la morte degli anziani che ancora le padroneggiano?

Pensiamo sempre ad altro, pensiamo sempre ad altro ma non è un crimine conservare questa conoscenza, anche quando ci si lancia senza timore verso il progresso dei nuovi linguaggi di programmazione informatica o verso l'uso di nuovi strumenti tecnologici.

Si può essere NERD (appassionati di tecnologia, internet e videogiochi) ma allo stesso tempo appassionati di tradizioni, di cultura etnica e della propria terra. Chi dice il contrario è solo un personaggio pazzo o malvagio. O entrambi.

E' vero che inizia da ognuno di noi, conservare tutto questo. Forse ogni sardo dovrebbe andare dagli uomini e le donne di una certa età e cercare di attingere tutto ciò che hanno da raccontare. Si dovrebbe tenere traccia scritta o video di tutta quella cultura. Se dicono cose inutili si fa sempre in tempo a buttarle via. Ma quando gli uomini e donne muoiono ciò che si portano dentro, potrebbe non essere più ritrovabile da nessuna parte.

Parlo anche della conoscenza delle erbe, delle tradizioni magico-spirituali che in Sardegna esistono anche se se ne parla sempre meno. Ma la Sardegna non è solo cattolicesimo romano. E' un territorio in cui la religiosità ha sempre assunto molteplicità facce su cui il cristianesimo spesso si è solo superficialmente sovrapposto.

Come al solito, il grido di aiuto va verso i nostri amministratori, sindaci e governatori. Prendete provvedimenti per preservare la nostra memoria. Fate in modo che i giovani vadano dai nostri vecchi e le nostre vecchie e traghettino quella sardità nel futuro.

Saludos.

lunedì 1 febbraio 2021

Lingua Sarda, un sardo ci spiega tutto riguardo a questo argomento.

Oggi ritorniamo a parlare di lingua sarda.

Ma invece che farlo noi, preferisco dar voce ad una persona che espone l'argomento in modo migliore, decisamente migliore rispetto a quanto avremmo potuto fare noi.

Un'esposizione talmente curata nei dettagli e espressione di una grande preparazione sul tema che credo sia obbligatorio lasciare la parola semplicemente al signor Massiliano Rosa (qui il suo account Facebook per chi volesse approfondirne la conoscenza).

L'articolo si intitola:
LA LINGUA SARDA

La lingua sarda nasce nel tempo, ed alla sua formazione contribuiscono le lingue delle diverse popolazioni che arrivano sull'isola.
Prima di parlare di come si è venuto a sviluppare nel tempo il sardo, va fatta una precisazione: il sardo non è un dialetto dell'Italiano ma è una lingua del tutto diversa.
Questo è attestato dalla presenza di un alfabeto diverso, di vocaboli assolutamente unici, di una diversa grammatica e sintassi.
Tutte peculiarità della sua storia, conservate nel tempo grazie all'isolamento geografico.
Ma lo dimostrano soprattutto numerose ricerche tra le quali ne voglio ricordare una, di molti anni fa, nel corso della quale si verificò come un qualsiasi straniero che avesse studiato e conoscesse perfettamente la lingua italiana, usasse il dieci per cento dei vocaboli utilizzati da un italiano a pari livello culturale. E si verificò come una persona nata in Sardegna avesse il vocabolario limitato di qualsiasi altro straniero.
Si noti che persino Dante Alighieri, nel suo «De vulgari eloquentia», scritto tra il 1303 ed il 1305, parla della lingua sarda e considera criticamente i Sardi, ritenendoli a rigore non italici, in quanto, a parer suo, non parlerebbero il volgare, imitando e scimmiottando, invece, il latino, come è dimostrato dall'utilizzo di termini come, ad esempio, domus nova e dominus meus.
Successivamente, quando il sardo ha cessato di essere la lingua madre per le generazioni nate a partire dagli anni '60, anche le sue strutture grammaticali hanno subito numerose modifiche, verso quelle dell'italiano.
Il contatto linguistico ha prodotto tutta una serie di risultati intermedi fra le due lingue originarie, tipici di una situazione di bilinguismo con diglossia, ossia con la presenza di due lingue differenziate funzionalmente, delle quali una è utilizzata solo in ambito formale e la seconda in ambito informale.
Lo dimostra anche il fatto che in Sardegna non si parla l'italiano corretto ma l'Italiano regionale sardo, che se ne differenzia sia sotto l'aspetto sintattico, che sotto quello grammaticale e fonetico.
I filoni linguistici.
Nella lingua sarda possiamo distinguere due grandi filoni linguistici, che corrispondono a differenze antropologiche tra gli storici due capi della Sardegna: Cabu 'e Susu, ossia il Capo di Sopra, e Cabu 'e Josso, ossia il Capo di Sotto.
Si tratta di due filoni:
Il Logudorese, che viene parlato nel centro-nord dell'isola, che costituisce il tipo più caratteristico e conservativo,comprendente le parlate del Logudoro.
Il Campidanese, che viene parlato nel sud dell'isola.
Mentre il Nuorese e il Logudorese sono le lingue che meno di ogni altra hanno subito le influenze continentali, il Campidanese, pur conservando i tratti caratteristici del Sardo, si avvicina di più ai dialetti italiani di tipo centro meridionale.
Una variante del Logudorese è:
Il Nuorese, che viene parlato, oltre che a Nuoro, in tutto il centro dell'isola e nel Goceano, che, si caratterizza per maggiore arcaicità e purezza rispetto al logudorese comune, e per questo motivo viene talvolta trattato come una variante linguistica autonoma.
Dal Logudorese, modificato con influenze pisane e genovesi, derivano:
Il Gallurese, che viene parlato nella parte nord orientale dell'isola, particolarmente affine ai dialetti del sud della Corsica, e conosciuto dai linguisti col nome di corso-gallurese.
Il Sassarese, che viene parlato nella città di Sassari e nei suoi dintorni, che ha subito l'influenza continentale di tipo toscano,
ma si è sviluppato in un substrato simile a quello Sardo.
L 'altra varietà oggigiorno riconosciuta e' l'Arborense o limba de Mesania o de intremesu ossia la varietà dell'Anfizona di Isaia Ascoli, della zona grigia del Bottiglioni parlato da circa 60 centri alla latitudine mediana e che da Cabras via Seneghe Ghilarza Sedilo Samugheo Busachi Austis Tiana Tonara Desulo arriva fino ad Urzulei e Baunei.
I dialetti Gallurese e Sassarese di tipo corso, appartengono linguisticamente al gruppo dei dialetti italiani, e non sono dunque, a rigore, linguisticamente ascrivibili alla lingua sarda, se non geograficamente e per varie influenze lessicali.
Altre parlate sono presenti in alcune piccole comunità locali a causa dell'origine esterna della popolazione in esse vive:
L'Algherese che viene parlato ad Alghero, che può essere visto come un dialetto della lingua Catalana.
Il Tabarchino, che viene parlato a Carloforte e Calasetta, una parlata tipicamente ligure essendo originari di Pegli i pescatori rapiti dai pirati tunisini e tenuti in schiavitù a Tabarka, un villaggio costiero della Tunisia, liberati al tempo di Carlo Emanuele III e trasferiti in queste località, dove fondarono la città chiamata Carloforte in suo onore.
L' Arborese, derivato dal veneto, che viene parlato dalla popolazione contadina trasferita nell'isola dopo le bonifiche del periodo fascista.
L' Arromanisca, termine con il quale, in Campidanese, viene chiamata l'Arbareska, ossia il Romanisku o Pavela romaniska, che
è il dialetto dei ramai venditori ambulanti di origine zingara, che si erano insediati nella zona di Isili, nel Sarcidano.
Questo dialetto è tuttora parlato da pochi individui ed è in via di estinzione.
Come tutte le lingue anche il sardo ha i suoi dialetti, che creano differenze notevoli da una località all'altra, anche all'interno del medesimo filone linguistico.
L'origine della lingua sarda.
La lingua sarda risente dell'influenza delle diverse popolazioni che sono arrivate nel tempo sull'isola. Nulla si sa della lingua dei nuragici, le prime evidenze risalgono al periodo dei Shardana.
La Lingua dei Shardana, popolazione presumibilmente sumerica, risale al periodo in cui la lingua sumerica si mescola con quella accadica.
Ad esempio, come ci ricorda Leonardo Melis, il sumerico Dun (padrone, ossia chi detiene il potere) diviene in accadico Danu (potente) ed in Sardegna Dan; la zappa in sumerico è Mar, in accadico Marru ed in Sardegna Marra.
Della lingua dei Shardana rimangono le maggiori tracce soprattutto nel Campidanese, in particolar modo nella parlata del Campidano interno e della Marmilla-Trexenta.
Nel Campidanese vengono ancora usati i termini mamai e babai ad indicare il padre o babbo (stessa radice), i termini nannai o nonnoi o mannai ad indicare il nonno, pipiu ad indicare il bambino, ecc.
Restano anche numerosi termini nella toponomastica: Muristene (luogo dei pellegrini) diventa Monastir, Samash (il Dio del Sole) diventa Samassi, Ollasta Brana-Jara diventa Albagiara, Nur-Adda (Luce di Dio) diventa Nurallao, Bau Padri (grande guado) diventa Baradili, Macu-Mere (città del Signore) diventa Macomer, Bona Catu (buon ritrovo) diventa Bonarcado, Arbarea (paludosa) diventa Arborea, Mar-Middha (acquitrino) diventa Marmilla, Margangioni (mucchio di sassi) diventa Morgongiori, Abas (acque) diventa Ales, Babai San dan (padre sardo) diventa Abbasanta, ecc.
Della Lingua dei Fenici restano pochi termini. Viene comunemente ritenuta di origine fenicia la famosa stele di Nora, oggi esposta al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.
Dopo i Fenici in Sardegna arrivarono i Cartaginesi, i quali non riuscirono mai a conquistarla del tutto.
Tuttavia si insediarono presso i migliori approdi e gli scali commerciali più importanti, diffondendo il loro idioma che rimase vivo anche in periodo romano. Si ritiene che in Sardegna siano state presenti anche alcune colonie greche, soprattutto sulla costa nord-orientale, tra queste probabilmente Olbia (nome greco significante Felice).
L'influenza del latino genera il sardo, che ancor oggi costituisce la principale lingua romanza. Agli inizi dell'occupazione romana nell'isola si parlavano tre idiomi: punico, sardo, latino.
Quest'ultimo si diffuse in breve tempo nelle zone costiere e nelle città, mentre nelle zone interne la diffusione incontrò notevoli ostacoli, poiché in quei luoghi si continuò a parlare il sardo. Tuttavia il latino, essendo la lingua ufficiale della chiesa, si è successivamente imposto, soprattutto nella Barbagia, dopo la conversione del Capo barbaricino Ospitone.
La lingua sarda che è arrivata sino a noi, Sa Limba, ha cominciato ad essere parlata dopo la caduta dell'Impero Romano.
Appartiene alla famiglia delle lingue romanze, dal latino Romanice loqui, o neolatine, famiglia che comprende anche l'italiano, il francese, lo spagnolo, il catalano, il portoghese e il rumeno.
La sua forma più pura è il Logudorese, in particolare il Logudorese di Nuoro, ossia il Nuorese. Ai tempi di Giulio Cesare, un cittadino romano, prima di partire per un breve viaggio, avrebbe molto probabilmente chiesto alla moglie di preparargli una bisaccia dicendo: «pone mihi tres panes in bertula», ed esattamente la stessa frase viene attualmente, ancora oggi, utilizzata in lingua sarda, per chiedere la stessa cosa.
E molte tracce del latino si trovano, ancor oggi, nella parlata comune. Ad esempio, per la parola cuocere viene usata la latina Coghere; il vento viene chiamato Bentu, dal latino Ventum; il giorno viene chiamato Die, dal latino Dies; ecc.
Tracce anche nella toponomastica: ricordiamo Domus de Maria, Domusnovas, Fordongianus da Forum Traiani, l'isola di Malu Bentu ossia del vento cattivo.
Proprio per la sua peculiarità il sardo è oggetto di accurati studi linguistici, che hanno contribuito a rendere più comprensibile l'evoluzione dal latino al volgare.
Si trovano, in Sardegna, diverse parole derivanti dal periodo di presenza bizantina sull'isola.
Durante questo periodo, la chiesa godette di forte autorità al punto che furono dedicati numerosi templi a Santi greci, come Santa Agata, San Saturno, Santa Barbara, San Sergio, San Bacco e soprattutto San Giorgio.
I nomi di questi Santi entrarono poi nell'onomastica popolare in uso ancora oggi, come Basilio, Sofia e Greca, accanto ad altre forme oramai scomparse o quasi, come Torchitorio, Salusio, Comita, Zerchi, Nispella, etc.
L'influenza bizantina si rileva anche nelle numerose chiese sparse per tutta l'isola.
Di origine araba è il nome di Arbatax, che significa quattordicesimo e che stava probabilmente ad indicare la quattordicesima torre costiera d'avvistamento.
Alla fine del periodo Giudicale, l'arrivo di pisani e genovesi portò in Sardegna l'uso dell'Italiano, dato che molti operai vennero dalla Toscana per costruire chiese, monasteri, Castelli e torri.
La dominazione catalana prima e spagnola poi, durata oltre 350 anni, ha avuto notevole influenza sulla lingua sarda. Per decisione delle corti generali, furono tradotti in catalano gli statuti di Iglesias, Bosa, e Sassari. L'uso del catalano è proseguito anche dopo l'unificazione delle Corone d'Aragona e di Castiglia, tanto che furono pubblicati ancora in catalano gli editti del viceré. Lo spagnolo, ovverosia il castigliano, come lingua ufficiale, soppiantò il catalano solo all'inizio del diciottesimo secolo, e fu usato negli atti pubblici fino al 1780 e oltre. Molti i termini derivati dalla lingua spagnola, come il nome delle catene montuose denominate serre, dallo spagnolo serra che indica la sega, a descrivere il profilo seghettato della montagna.
Il termine castigliano retablo, con il quale viene indicata una tavola pittorica disposta dietro l'altare, nome che deriva dal latino retro tabula altaris. Oppure il termine ventana ad indicare la finestra, ogu ad indicare l'occhio, etc.
Il diciottesimo secolo segna il passaggio della Sardegna al dominio piemontese e per la prima metà del secolo permane una situazione bilingue. Il sardo convive accanto allo spagnolo, mentre i nobili Piemontesi prediligono utilizzare nei loro rapporti il francese.
Il rispetto per la lingua sarda continua anche nell'800, ma si fa più invasiva la diffusione dell'italiano.
Con l'unità d'Italia, dopo il 1861, la lingua italiana diventa sempre più ufficiale, pur convivendo ancora con il sardo che resta comunque ancora assai diffuso, sia nei ceti umili che in quelli della borghesia.
A partire dal '900 l'uso dell'italiano si diffonde, fino ad arrivare, in periodo fascista, alla proibizione assoluta dell'uso del sardo.
Vengono così eliminati nella toponomastica locale molti termini Sardi, coniandone di nuovi, in alcuni casi dando luogo a vere e proprie storpiature derivate da errate e superficiali traduzione dei cartografi italiani.
L'isola Sin-Ara, che indicava il tempio del Dio Sin, è stato tradotto in Asinara; l'isola del Malu Bentu, ossia del vento cattivo, diventa l'isola di Mal di Ventre; l'isola del Kavuru, ossia del granchio, diventa l'isola dei Cavoli.
E così via.
La lingua parlata e la lingua scritta.
Nella lingua parlata si rileva un'origine comune, mentre nella lingua scritta non esiste una grafia standard, essendo presenti due diverse tradizioni grafiche: da una lato il Logudorese, dall'altro il Campidanese fondato sul «Saggio di grammatica sul dialetto sardo meridionale» del 1811 di Vincenzo Porru.
Nel sardo sono presenti suoni assenti nel latino e nelle altre lingue neolatine.
La consonante d ha una sonorità cacuminale che in Logudoro un prete, Pedru Casu, trascrisse come dh, mentre in Campidano un altro prete, il canonico Bissenti Porru, preferì scrivere dd.
Un altro suono presente nella lingua sarda è simile a quello che il francese rende con la lettera j, come in jour (giorno). Nel Logudorese quel suono viene trascritto con la lettera j, ad esempio nella parola ruju (rosso), una jod semiconsonante o semivocale, mentre in campidanese quel suono è reso dalla lettera x, ad esempio è presente nel nome del più importante complesso nuragico chiamato Su Nuraxi, che si legge come se fosse scritto in francese Su Nuraji, con la j del francese jour.
La j è infatti la lettera che rende quel suono nel sardo meridionale.
Per concludere, la principale differenza ortografica fra il sardo settentrionale e il sardo meridionale si è concretizzata in quel dh o dd per il suono cacuminale della d, e in quella j ovvero x per il suono assimilabile a quella della parola francese jour.
E per le sequenze verbali che in logudorese sono mantenute latine.
E per l'uso delle velari latine in logudoresu e arborensu che gradatamente spostandosi verso sud diventano palatali o scompaiono come suoni gutturali.
La rivalutazione ed il riconoscimento della lingua sarda.
I documenti medioevali in lingua sarda non sono numerosi. Tra i più importanti e antichi abbiamo: le Carte Campidanesi dell'undicesimo secolo; la Carta de Logu promulgata da Eleonora d'Arborea nel quattordicesimo secolo; i «Contaghi», ossia i registri con gli atti che attestano i negozi giuridici; e i Condaghi, che rappresentano i registri che raccolgono gli atti che attestano un negozio giuridico.
All'ecclesiastico Giovanni Spano, nato a Ploaghe, si devono due opere fondamentali: «Ortografia sarda e nazionale, ossia grammatica della lingua Logudorese paragonata all'italiana» del 1840 e «Vocabolario sardo-italiano e italiano: sardo» scritto tra il 1851 ed il 1852.
La lingua sarda trova, infatti, il suo splendore tra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo, soprattutto per gli studi di Giovanni Spano.
Più di un milione e mezzo di Sardi, parlano una delle lingue appartenenti ai suoi due filoni linguistici, e, dopo l'italiano, costituisce la lingua più parlata in Italia.
È del 1978 la proposta di legge di iniziativa popolare per l'introduzione in Sardegna del bilinguismo; del 1992 la «Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie»; del 1997 la legge regionale sarda n. 26 per la «Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna»; del 1999 la legge della repubblica italiana n. 482 che contiene le «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» che riconosce il diritto alla tutela, tra altre, anche della lingua sarda.
Sono oggi più attuali che mai le prospettive di ufficializzazione della lingua sarda e di un suo uso più ampio, da parte delle istituzioni sia pubbliche che private.
Nell'ambito delle iniziative per la sua ufficializzazione, la regione ha avviato due progetti, il primo denominato L.S.U., ossia Limba Sarda Unificada, ed il secondo L.S.C., ossia Limba Sarda Comuna, al fine di definire e normalizzare trascrizione e grammatica di una lingua unificata, che comprenda le caratteristiche comuni delle varianti logudorese, nuorese, e campidanese.
La Limba Sarda Unificada è una variante scritta della lingua sarda. Le sue norme sono state pubblicate nel 2001, dalla regione Autonoma della Sardegna, col titolo «Limba Sarda Unificada - Sìntesi de sas Normas de base: ortografia, fonètica, morfolozia, lèssicu».
La Limba Sarda Unificada è il risultato del lavoro di una commissione di esperti di lingua sarda consultati dalla regione, ma è fortemente basata sul Logudorese o meglio sul Nuorese, che ha trovato però una forte opposizione in Campidano, perché si ritiene non contenga le peculiarità della parlata della Sardegna meridionale.
La Limba Sarda Comuna è un'altra varietà scritta della lingua sarda, che costituisce una evoluzione rispetto alla Limba Sarda Unificada, che era stata pesantemente criticata per la sua artificialità, nonché per l'assenza di richiami alla varietà campidanese, in quanto esclusivamente basata sulla varietà del logudorese centrale.
Infatti, la Limba Sarda Comuna, sia pure basata sul logudorese e nuorese, accoglie anche elementi propri delle parlate di mediazione, utilizzate nell'area grigia di transizione tra il logudorese e il campidanese, e si pone pertanto, lessicalmente e foneticamente, come una varietà intermedia, tra le due varietà di sardo letterario.
La Limba Sarda Comuna è stata adottata, sia pure solo sperimentalmente, dalla regione Autonoma della Sardegna con la delibera regionale n. 16/14 del 18 aprile 2006, col titolo «Limba Sarda Comuna. Adozione delle norme di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita dell'Amministrazione regionale», come lingua ufficiale per gli atti e i documenti emessi in uscita, con carattere quindi di ufficialità, dalla regione Sardegna, fermo restando che ha valore legale il solo testo redatto il lingua italiana.
Viene data facoltà ai cittadini di scrivere all'Ente nella propria varietà linguistica, ed è stato istituito lo sportello linguistico regionale denominato Ufitziu de Sa limba sarda.
La Limba Sarda Comuna è naturale per il 92,8 per cento, è in posizione mediana rispetto a tutti i dialetti del sardo, e può, quindi, ancora essere migliorata, per farla diventare la lingua ufficiale di tutti i Sardi.
Pillole di sardo.
In Cina hanno 5 alfabeti e alcuni sono solo ideogrammi.
Noi sardi non riusciamo a decodificarne uno.
Sarebbe meglio studiare le micro varianti sarde. E perfezionare un alfabeto di norma grafico fonetica che rappresenti tutto il sardo e tutti i sardi.
Massimiliano Rosa

Ho ben poco da aggiungere. Se non ringraziare Massimiliano del tempo dedicato a fornirci queste importanti informazioni.

Saludos

lunedì 25 gennaio 2021

Indipendentismo si o indipendentismo no?

Di indipendentismo in Sardegna se ne parla da tanto tempo, così tanto tempo che sembra essere una normale componente del paesaggio come il mirto, i nuraghi e l'asfodelo.

Ma così non dovrebbe essere.

Sia chiaro, prima di dire che si è indipendentisti, che si è contro l'indipendentismo, che lo si giustifica od osteggia occorrerebbe specificare cosa si POSSA intendere con questo concetto.

Indipendentista è l'idea che la Sardegna, già separata dal resto dell'universo da un mare (meraviglioso) che la circonda, sia anche politicamente separata e, quindi, indipendente dal resto. 

Nello specifico dallo stato che al momento la ingloba e ne detiene la sovranità e che prende il nome di Italia. Anche se, è assodato, anche quest'ultima si è fatta in gran parte assorbire da un nuovo stato sovranazionale (nel senso che va oltre la nazione) che continua un'opera (secondo me) di distruzione e non di costruzione.

Il punto è forse qui: abbiamo degli stati e abbiamo delle nazioni. Nazioni intese come gruppi di individui che parlano di se vedendosi come un gruppo unitario dal punto di vista della storia, della cultura, della lingua e delle tradizioni. Stati intesi come agglomerati politici e amministrativi.

La storia è piena di questi esempi. L'impero romano era uno stato che inglobava centinaia e forse più popoli completamente diversi fra loro. Al tempo le diversità erano anche fisiche, perchè le etnie erano più distinte e i tratti somatici caratteristici maggiormente distinti.
Ma l'impero romano era uno e dentro di se c'erano centinaia e centinaia di nazione.

Lo stesso, per contro, non si può dire degli USA. Che è vero sono divisi in 50 stati ma che di fatto sono un'unica nazione. Che con il tempo è diventata multietnica, è vero, ma che continua a parlare una lingua e che si rifà ad uno zoccolo culturale ormai abbastanza uniforme che possiamo addirittura chiamare "americanesimo". Il merito? Chiedete a quelli di Hollywood, come ci siano riusciti.

Torniamo a noi.

Siamo indipendentisti? SI e NO.

Si, lo siamo perchè la Sardegna è unica, il suo popolo è unito e si riconosce lontano un miglio come distinto dagli altri. La prova? Siamo l'unico popolo che quando emigra dissemina l'universo di centri di aggregazione per sardi all'estero. Una volta ho fatto una ricerca. Sono tantissimi. Mentre non si è mai visto un centro di aggregazione di lombardi o piemontesi all'estero. Per dire. Al limite un centro culturale di italiani all'estero. Appunto.

No, non siamo indipendentisti perchè la deriva che questo termine ha preso è talmente connotata di risvolti politici che rischieremmo di finire nel calderone di chi ha banalizzato adesso il concetto.

Esistono partiti che sono nati per rendere la Sardegna libera dall'occupazione straniera e coloniale e che sono diventati la caricatura di se stessi. Un indipendentismo che non racconta niente di nuovo da un punto di vista culturale e che è anche controproducente per la nostra libertà.

Cosa penso? Penso ad una Sardegna indipendente nei fatti più che nelle costituzioni. Una Sardegna che possa decidere in modo autonomo (VERAMENTE) le proprie leggi e disposizioni. Se questo può essere fatto nell'ambito di una federazione con il resto d'Italia, con una maggiore autonomia o con una separazione effettiva dalla penisola è cosa secondaria e non da affrontare ora.

Ora, quello che conta, è il sentire, lo stato d'animo, il movimento culturale.

La politica ora è meglio lasciarla da parte. D'altronde non è proprio serio vedere esempi come un partito che nasce per l'indipendenza e per il sardismo, trovarsi alleato e forse vassallo di un partito le cui radici affondano nella difesa del "suo" territorio. Ma questo è un altro discorso.

Indipendentismo? Si, soprattutto economico. I sardi sono ormai legati a filo doppio con l'Italia e ogni sardo sente battere il cuore per ciò che avviene nella terra d'AUSONIA (antico nome dell'Italia).
La Sardegna deve essere indipendente economicamente prima di tutto. E questo dipende in larghissima misura da noi, per non star a piangere in modo infantile ai piedi di altri.

Ma che un sardo sia italiano e che possa sentirsi italiano, non nasconde che un sardo è prima di tutto un sardo. E' diverso. E' il figlio di una terra meravigliosa che tanto ha dato all'umanità nei millenni scorsi e che, dopo un lungo sonno silenzioso, tanto ancora ha da dare a tutto il mondo.

Saluti.

sabato 23 gennaio 2021

Fa più Giacobbo per noi che l'assessore al turismo?

Che la Sardegna sia uno dei posti con la più grande concentrazione di siti di interesse archeologico e storico è risaputo.

Talmente risaputo che sopra il nostro patrimonio ci costruiamo anche le rampe degli svincoli delle strade (zona industriale di Olbia, ma ne riparleremo).

Cioè abbiamo così tanto patrimonio archeologico che, agli occhi degli ottusi, questo diventa de-prezzato. Se hai tanto di qualcosa significa che non vale niente.

Se applicassimo questo ragionamento alle spiagge significherebbe che, invece che essere la maggiore fonte di entrate di questa isola e della nostra gente, dovremmo distruggerle proprio perchè ne abbiamo troppe e non hanno valore.

Ieri, come ultimamente spesso fa, il signor Sandro Giacobbo, personaggio televisivo di spicco della TV informativa (in particolare della corrente alternativa alle posizioni "ufficiali") ha di nuovo dedicato ampio spazio alla storia della nostra Sardegna. Su Italia 1 in prima serata.

La mia riflessione è ovvia e immediata. Ovvero penso proprio che porti più bene, più promozione e più visibilità alla Sardegna e anche alla vita le riprese di Giacobbo (ieri a Olmedo per mostrare la fortezza pre-nuragica di Monte Baranta) piuttosto che l'intero operato non di uno ma di tanti assessori al turismo regionali e, probabilmente, di tutto l'esecutivo.

Non sono una persona che tende ad annichilire gli amministratori e i politici sull'onda del populismo per cui sono SEMPRE tutti degli incapaci. Non lo sono. Ma quando ci sono degli incapaci, occorre anche dirlo.

Anni fa partecipai a Londra ad una fiera gigantesca sul meglio che l'Italia potesse offrire al mondo: design, agroalimentare, immobiliare, turismo, etc. Si chiamava "Bella Italia".
Presenti? Tutte le regioni. Assenti? Solo la Sardegna.

Ma non è questo il punto. Il punto è che passeggiando per gli stand e parlando a caso con varie persone (non certo gli ultimi arrivati, visto che erano tutti professionisti, tour operator, investitori, uomini di mondo, giornalisti, personaggi di cultura...) la Sardegna fosse un luogo per lo più sconosciuto. Le stesse spiagge sarde (che noi autoctoni pensiamo siano conosciute in tutto il mondo) erano per lo più sconosciute. Al punto che mostrando le foto di alcune nostre spiagge, ci veniva detto fossero spiagge caraibiche.
Quale è quindi il punto? Il punto è che se. Ri-iniziamo..... il punto è che se (dico se) come regione si intende puntare, come motore economico e sociale, sul turismo, sull'ambiente e l'ecologia mi sembra assurdo non valorizzare il patrimonio che abbiamo.

Non è un problema di soldi. Non è un problema di soldi. Non è un problema di risorse nelle casse delle regioni. E' un problema di competenza, di visione e di programmazione.

C'è così tanto da fare che il poco che stiamo facendo non è sufficiente.

Abbiamo una lingua bellissima che viene studiata nelle università giapponesi ma non nelle scuole sarde, abbiamo lavori artigianali che andrebbero preservati e valorizzati e non lo sono, abbiamo una storia antica fra le più importanti del mondo (si, del mondo, non solo d'Italia) ma nei libri non vi è traccia anche se in Egitto ci sono corsi universitari sul nostro passato. E mi fermo qui.

La morale? C'è una morale? Si.

Riprendiamoci prima il nostro orgoglio e la nostra identità. Non tanto nel conflitto politico (non serve essere indipendentisti rivoluzionari) quando nell'aspetto culturale e spirituale.
Riprendiamoci la nostra storia, lingua e cultura.
Iniziamo dal singolo, da ognuno di noi.

E poi riuniamoci e riparliamone.